mercoledì 19 giugno 2024

CASSANDRE INASCOLTATE
















Cassandre inascoltate

Hai visto
la rovina dell’altrui certezza
prima che si patisse
il rombo sotto i piedi.
Tu bocca, cucita,
come farai a gridare
la soluzione che hai intravista
con l’occhio della preveggenza
senza lacerarti tutta?
Hai visto
meteoriti del potere
bucarci tasche e sogni
ed hai gridato,
perché tutti si fuggisse,
all' illusione dei mercanti in fiera
ma, della gola, s’è perduto il fiato
lasciando vergini le corde da vibrare.
Hai visto,
senza mai guardare,
anfratti su tempeste dentro
e noi
non fuggiremo  ad  esse
perché non hai parole
ad indicarci come.


Shikanu’

Angelo Caduto

Angelo caduto

Ho ali spezzate di angelo caduto

oggi Shika non vola

senza ascoltare senza un aiuto

oggi Shika sta sola

lastre di ghiaccio perse nel cielo

così io mi sento

sbattuta come di fiore uno stelo

sconvolto dal vento

Shikanu'

La luna e gli artisti


Chiaro di luna

Che chiaro di luna, dicevano a volte
quando nulla c'era da mangiare e
a fatica si tentava la vita cercandola
fra luci diverse e fasulle
speranza incerta di giorni di luce e pace

che chiaro di luna, che alcuni più guardano
neppure bambini svezzati a giochi crudeli
abituarsi all'ignobile farsa che la vita può darti

che chiaro di luna, amore, ch'ancora oggi noi
di fortuna vediamo, sopraffatti da tempi feroci
alzando lo sguardo ci appare splendore sugli occhi

e traspare, malgrado gli inganni e il fuoco nemico
che spezza  o distrugge, ci lega scavalcando
i tempi e lo spazio

che chiaro di luna, amore,
lontani e uniti guardandola insieme
alla luce che sviene, a quella che arriva con te.

da "Rosso" di Beppe Costa


 "L'unica certezza" disegno gesso e fusaggine su carta Bristol  di Shikanu'


L'arte informale di Francesco Dau

Se è vero che l’arte informale nasce per dare senso al gesto dell’artista più che all'arte, intesa secondo i canoni classici, se è vero che la scelta del gesto e dei materiali diventa più importante della forma in se stessa, allora Francesco Dau può definirsi a tutti gli effetti un grande artista favorendo la materializzazione delle sue emozioni attraverso una esplosione di colori imprigionati da resine trasparenti in quanto riesce a farci percepire il suo entusiasmo nell'esprimere se stesso senza limitazione alcuna, senza regole imposte da scuole o tradizioni, senza vincoli di pensiero o di stile che possano inibire il libero fluire delle emozioni. L’arte di Dau ci fa entrare in un mondo visionario, dove la ricerca della perfezione cromatica attinge dall’anima e di questa si nutre.
Dove altri, io per prima, cercano con la forma e il significato, Dau  trova nell’oblio di sé e nel rifiuto di ogni condizionamento relativo e in questo sta la sua grandezza.
Rifiutando la plastica della figura, con i possibili agganci al mondo reale, l’artista percorre il sentiero dell’informale, abbandonandosi alla voce della propria coscienza pur mantenendo una coerenza di stile quello appunto inconfondibile che gli è proprio.

Shikanu’

Opera di Francesco Dau

rinnovati intenti......

Resta viva un'opera d'arte quando è in grado di comunicare nel tempo oltre l'intenzione iniziale che la mise in essere.
Mi carico il cuore adesso di una bellissima poesia di Claudio Moica, il poeta che canta il "fuoco" nella raccolta " La solitudine degli elementi" e non posso non vedere quanto ci sia nelle sue parole di me che ho dipinto " ...e la terra sogghigna " con diversi intenti espressivi diversi anni fa, ma leggere Moica rinnova i miei intenti, come una che ha sempre guardato la terra  dall'angolazione della sua statura e improvvisamente può guardarla da un'altra angolazione.

Solo un soldo

Ho coltivato una voce muta
pianto disteso sotto il ciliegio
e un'eclisse di voli alti
riflessa tra cave di pietre.

Controllo il respiro spento
decompongo i sassi sparsi
accarezzo le fredde rotondità
mentre perdo i ricordi.

Eri nel fiume asciutto
trattenuta negli argini dei desideri
come passaggio di barche solitarie
nelle nebbie dei giorni persi.

Come bufera senza vento
hai rovesciato il mare silenzioso
senza curarti del cielo
senza cancellare le orme dei corvi.

Un tempo sarò albero spoglio
senza rami protesi come artigli
protetto da querce dimenticate
e mura sbucciate di vita tardiva.

Getta una moneta nel cappello
un soldo al buffone di corte
niente applausi, niente spettatori
solo urla nel deserto della paura.

Claudio Moica

























IL PUZZLE


















Quando interagiamo con gli altri
diamo di noi parti importanti.
Sta a chi ci ama ricomporre
la nostra autentica essenza
ricomponendo i pezzi del nostro enigma.
Tuttavia ciascuno di noi ha spine dolorose personali
che spesso impediscono di concederci totalmente.
Nessuno così potrà risolvere il puzzle,
spesso a danno di noi stessi.

Shikanu'

















olio su tela 50X70 Spargimi di te
ispirata dalla poesia di Claudio Moica che lo ha  scelto come immagine di copertina del suo libro dallo stesso titolo

Saper guardare e saper vedere non sono la stessa cosa

Ho provato pochi giorni fa a fare una piccola ricerca, fra le persone che ho incontrato, per vedere in quanti fossero al corrente della differenza che passa fra il significato delle parole " guardare" e "vedere" e sono arrivata alla conclusione che in tanti credono, erroneamente, che il significato sia  lo stesso, mentre altri ne invertono l'attribuzione.
Guardare significa indirizzare lo sguardo in una direzione senza essere necessariamente in grado di notare quello che rientra nella visuale. Vedere, invece, significa notare qualcosa di preciso nella visuale del proprio sguardo.
Vedere, così come osservare, significa focalizzare lo sguardo su qualcosa, notare e vedere in dettaglio una determinata cosa.
Guardare, quindi, è la funzione  passiva dell'occhio, vedere  è la funzione attiva.
Un artista che non ha la capacità di vedere difficilmente sarà capace di trasmettere l'onda emotiva che ha suscitato in lui l'incontro con qualcosa che ha attraversato il suo sguardo.
Le cose, non sono solo fatte di massa e materia, sono fatte anche di luci, di forme e di ombre mutevoli ad ogni alito di vento, ad ogni vicinanza con altre cose, ad ogni passaggio di nubi e tante altre varianti che non intendo elencare qui ed ora.
Quello che voglio dire qui, invece, è che questa capacità di posare lo sguardo in modo attivo è più che evidente se si osservano le "Agavi" di Stefano Masili.
Non c'è ossessività nelle sue opere allo stesso modo di come non c'è ossessività in natura.
Nessuna pianta di Agave è uguale a un'altra così come nessun volto umano è uguale a un altro.
Quello che colpisce delle sue opere dedicate a questa nobilissima pianta è la capacità dell'artista di vedere  la luce che di volta in volta su essa si posa dando vita a contrasti mozzafiato; di vedere la drammaticità delle foglie caduche marcescenti in contrapposizione con le nuove germinazioni, come a sottolineare la ciclicità incessante della vita e della morte; la capacità di vedere che il verde delle "Agavi" sa farsi turchese e che le sue punte sanno incurvarsi fino a evocare gli artigli di un rapace feroce avvinghiato alla roccia o emulare dita di mani protese al cielo; la capacità di vedere le texture che la natura disegna intrecciando  grovigli dal fascino misterioso.
Stefano Masili sa vedere questa danza della natura e la trasporta nelle sue opere perché anche altri imparino a vedere oltre lo sguardo fra le cose solo apparentemente banali e lo fa con una tecnica tutta sua, frutto di anni di ricerca dove i colori e i supporti aggiungono allo spettacolo naturale altra materia del tutto nuova per le agavi che si fanno così ruvide e impenetrabili come gli affreschi.
Se grandi poeti come Bartolo Cataffi, Primo Levi e Federico Garcia Lorca hanno cantato questa pianta, evidentemente ha qualcosa di emozionante per chi non si limita a guardare e allora mi
 piace immaginare Eugenio Montale che in quel mondo dove è voluto andare ( come direbbe Beppe Costa ) non si dispiace affatto se io adesso dedico a Stefano Masili un estratto da una delle sue più belle poesie.

L'agave su lo scoglio

Scirocco

O rabido ventare di scirocco
che l’arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d’una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell’aria
ora son io l’agave che s’abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
(da Eugenio Montale, Ossi di seppia; Meriggi e ombre)

shardana



Shardana, una delle canzoni tratte dall'album "Credimi" di Capitano, album che nasce dalla collaborazione fra il compositore e l'autrice-pittrice Shikanu' che ha tradotto in versi ciò che Capitano intendeva comunicare con la musica, la trovate seguendo il link sotto
https://youtu.be/9sGp6sdLMdc?si=fqnP0KapZL861E2h

Spargimi di te

























Edita dalla Pettirosso Editore, con  prefazione di Salvatore Contessini e postfazione di Shikanu' che ha realizzato anche l'immagine di copertina, esce la nuova raccolta di poesie, dedicate alla donna, dello scrittore Claudio Moica












Vincitore di diversi premi letterari
Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per meriti socio-culturali.






Arte Classica e Arte Moderna, una vale meno dell'altra?

Arte Classica e Arte Moderna una vale meno dell’altra?
Pungolata da un amico che, parlando di gradimento musicale di massa confrontato col gradimento di nicchia, faceva un parallelo con l’arte moderna, desidero qui esprimere il mio parere che ovviamente non costituisce una verità assoluta, ma può aiutare a capire chi sono e come penso.
Diceva, giustamente, che la conoscenza aiuta le emozioni.
Per rafforzare questa sua affermazione raccontava che per lui era stato così quando si era approcciato all'arte moderna.
Non riusciva ad apprezzarla, si annoiava di fronte a delle forme che pensava, sarebbe riuscito a disegnare anche da bambino.
Cito le sue testuali parole:
…” quando ho capito esteticamente il movimento fatto dall'arte di quel periodo, quel dichiarare la forma, quella rivendicazione delle forme rispetto all'imitazione del mondo - che allo stesso tempo alza la questione: e se le forme avessero più realtà dell'immagine nel suo complesso? - quel movimento dell'arte che rivendica la sua presenza anziché nascondersi dietro alle immagini riconoscibili: ecco, è stato lì che in due ore al museo ho visto solo una decina di quadri di Klee perché non riuscivo più a lasciarli... e li ho dovuti lasciare perché i responsabili mi hanno spento le luci e minacciato di chiudermi dentro”.
Il suo discorso mi è piaciuto, meno nel punto che ho sottolineato in grassetto “anziché nascondersi dietro alle immagini riconoscibili”.
Non mi è piaciuto perché sono convinta che l’arte sia palese sempre quando c’è e non ha bisogno di nascondersi dietro alle immagini riconoscibili e tanto meno perde di spessore quando alla realtà si ispira.
Sono una che ama lo stile e poco m’importa come si ottiene.
Amo lo stile di Roberto Ferri e amo lo stile di Francesco Dau.
Amo lo stile di Stefano Masili e amo lo stile di Fabio Mariani.
Amo lo stile di Elisabetta Fontana e amo lo stile di Tiepolo.
Ogni immagine d’arte ha sempre un significato e un significante e non può dirsi certo mera imitazione della realtà riconoscibile ma caso mai reinterpretazione della stessa avendo sempre un piano plastico e un piano espressivo ed essendo sempre portatrice di segno.
Il segno è appunto la relazione che attraversa sia il significato sia il significante di un’opera.
Il significato è l’idea o se preferite il concetto di qualcosa, di qualcuno o di un’azione mentre il significante è esattamente ciò che esprime quel concetto o quell'idea.
I significanti possono essere simboli convenzionali, icone stilizzate, indici di qualcosa ecc.
L’aureola sopra la testa dei Santi per esempio è un simbolo convenzionale non è certo una realtà palese e i simboli convenzionali non sono certo nati dall'osservazione della realtà ma caso mai dall'idea del primo artista che ha interpretato il concetto astratto di santità.
Noto con molto disappunto che tanti utilizzano come metro per un’analisi differenziale fra arte classica e arte moderna la questione della spontaneità come se davvero chi fa arte moderna fosse mosso dall'istinto dietro incitazioni del pensiero critico e chi invece ha fatto arte classica si fosse limitato a un tecnicismo preconfezionato e dietro commissione spinta fino ai dettagli.
Chi ha fatto arte classica non ha copiato la realtà, caso mai l’ha osservata attentamente e l’ha reinventata.
Sia nell'arte classica sia nell'arte moderna il successo di un artista dipende dalla sua capacità di farsi osservare.
Molti, oserei dire troppi, sedicenti artisti di arte moderna pretendono invece di sfidare continuamente il pubblico a capire dove sta il gesto tecnico e il gesto spontaneo, togliendo all'arte il ruolo di messaggera di qualcosa, sia un’idea concreta o un’astrazione per farla diventare una provocazione fine a se stessa.
In pratica non cercano chi li osservi ma chi reagisca e poco importa se sono reazioni negative.
Quando ci incantiamo davanti alla Pietà di Michelangelo, lo stupore della perfezione quasi ci paralizza mentre se guardiamo il Palloncino rosso di Klee di primo acchito, ci viene da pensare che avremmo potuto farlo noi stessi quando eravamo bambini.
Paragonato questo concetto alla musica (per stare nello stile del mio amico), ho immaginato di ascoltare la Cavalleria Rusticana del Mascagni a occhi chiusi immaginando una scena e godendone intensamente, mentre se ascolto un’improvvisazione jazz, posso pensare che posso provare a suonare a mia volta se conosco due note.
Questo ragionamento, ovviamente, non vuole togliere nulla a Klee e neppure alla musica jazz, ma vuole sottolineare le possibili varianti emozionali di fronte alle diverse forme d’arte che per alcuni potrebbero anche essere invertite.
Ecco perché, tornando all'arte mi infastidisce il ragionamento che vuole esaltare le creazioni moderne cercando di buttare fango sui fari di quella classica con frasi fatte del tipo “copiavano la realtà” o “dipingevano su commissione” come se la spontaneità fosse l’unico vero indice per definire un artista e si storce il naso davanti al segno dotto e progettato come se fosse solo portatore di falsità o di emulazione anacronistica.
In realtà sia l’arte classica quanto l’arte moderna dovrebbero avere un solo metro di giudizio che a mio avviso è la riconoscibilità di uno stile proprio, sia che si voglia trasmettere una realtà oggettiva sia che si voglia esprimere un concetto astratto, sia che si voglia solo provocare.
L’osservatore attento deve poter riconoscere un artista dal suo inconfondibile stile e poco importa se riesce ad averne con gesti spontanei o con gesti programmati.
Purtroppo in tanti confondono proprio quest’aspetto.
La rappresentazione soggettiva, che determina lo stile, non è sinonimo d’istinto o di spontaneità.
Altro errore comune è credere che l’arte moderna debba passare per forza dalla sperimentazione materica e non dalla possibilità di dire una cosa già detta in un modo del tutto nuovo.
La verità è che il pubblico moderno non ha il coraggio di esprimere le proprie sensazioni di fronte a un’opera per timore di apparire anacronistico o ignorante.
Concludo dicendo che l’Arte con l’A maiuscola è il fine ultimo del gesto e del segno, mentre la tecnica, l’istinto, le materie scelte e la stessa provocazione non sono altro che il mezzo.
Non c’è differenza alcuna fra Arte Moderna e Arte Classica perché ciascuna esprime lo spirito del suo tempo.

L’Arte è tale sempre e comunque quando provoca un’emozione.
Shikanu'